Rifiuti, sottoprodotti ed end of waste nel settore tessile
Loretta Moramarco è dottoressa di ricerca in diritto ed economia dell’ambiente, con numerose pubblicazioni su riviste scientifiche. Ha conseguito un master di primo livello in Inclusione delle diversità presso l’Università degli Studi di Udine. Ha svolto la professione di avvocata dal 2012 al 2022. Attualmente è assegnista di ricerca presso l’Università di Bari.
Rifiuto a chi? Numeri e problemi di definizione
L’ obiettivo era rendere i corsisti consapevoli delle potenzialità e delle criticità dell’economia circolare nel settore tessile, anche grazie alla presentazione di buone prassi e di casi affrontati dalla giurisprudenza nazionale.
Il settore tessile è estremamente impattante a livello ambientale: utilizza risorse preziose come l’acqua in grandi quantità; si avvale – ancora in via assolutamente prevalente – di materia prima vergine e produce moltissimi rifiuti. Anche se la parola “rifiuto” associata al tessile ci porta immediatamente alla mente pile di abiti rovinati o comunque utilizzati, devi immaginare che la principale criticità è l’iper-produzione, che genera invenduto che diventa rifiuto abbandonato o smaltito in discarica o in inceneritori.
L’art. 183 del d.lgs 152/2006 (c.d. Codice dell’ambiente) definisce, infatti, “rifiuto” qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l'intenzione o abbia l'obbligo di disfarsi.
Un recente rapporto un dell’Agenzia europea dell’ambiente (EEA) intitolato “The destruction of returned and unsold textiles in Europe’s circular economy”, pubblicato il 4 marzo 2024, stima che tra il 4 % e il 9 % di tutti i prodotti tessili immessi sul mercato europeo vengano distrutti prima dell’uso (un quantitativo annuo compreso tra 264.000 e 594.000 tonnellate).
Il sottoprodotto, invece, è definito dall’art. 184-bis del codice dell’ambiente come un materiale che soddisfa quattro condizioni: è certo il suo ulteriore utilizzo; può essere utilizzato direttamente senza ulteriori trattamenti diversi dalla normale pratica industriale; fa parte integrante di un processo produttivo; il suo uso è legale e non ha impatti ambientali negativi.
La nozione di end of waste nasce a livello comunitario con la direttiva quadro sui rifiuti (2008/98/CE). In particolare, l’art. 6 afferma che “un rifiuto cessa di essere tale quando è sottoposto ad un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio, e soddisfino criteri specifici”. Tali criteri sono definiti da specifici decreti ministeriali. Lo schema di decreto End of Waste sui rifiuti tessili ha concluso la fase di consultazione nel 2024 ma non è stato ancora licenziato. Oltre ai criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto (tessile), individua gli scopi specifici di utilizzabilità.
Economia (tessile) circolare. Ce lo chiede l’Europa. Lo pretende la tutela dell’ambiente.
Tra il 2020 e il 2022 sono stati adottati due atti della Commissione Europea che mirano a rendere il settore tessile sostenibile. A marzo 2020, la Commissione europea ha adottato il nuovo Piano d’azione per l'economia circolare per un’Europa più pulita e competitiva che, tra i sette settori prioritari, individua proprio il settore tessile. A marzo 2022, inoltre, la Commissione Europea ha adottato la Strategia dell'UE per prodotti tessili sostenibili e circolari (COM(2022) 141 final). L’obiettivo è rafforzare la competitività industriale e l'innovazione nel settore, promuovere il mercato dell’UE di prodotti tessili sostenibili e circolari, compreso il mercato del riutilizzo, e incoraggiare le imprese a dare priorità al riciclaggio delle fibre tessili.
I dati del riciclo o riutilizzo non sono lusinghieri: in Italia, in media, solo il 45% dei tessuti raccolti viene effettivamente riciclato o riutilizzato.
Mancano adeguati impianti di riciclo e su questo il PNRR italiano prevede investimenti specifici per la raccolta differenziata del tessile. In particolare, sono state stanziate risorse per lo sviluppo e l’ammodernamento degli impianti per il riciclo dei rifiuti tessili, con l’obiettivo di potenziare questa parte della filiera. Questo intervento rientra nell’iniziativa "Textile Hubs", volta a creare una rete efficiente per la gestione dei tessili pre e post-consumo.
Peraltro, l’Italia ha introdotto dal 1° gennaio 2022 l’obbligo di raccolta differenziata dei rifiuti tessili, anticipando di tre anni quanto richiesto dalla Direttiva UE 851/2018. Si attesta a circa 15 kg a persona la quantità di rifiuto tessile prodotto da ogni europeo e l’Italia, con i suoi 16 kg, è in linea con il dato europeo. La media nazionale pro capite di raccolta di rifiuti tessili si ferma, invece, a 2,6 chili per abitante. La normativa italiana fissa specifici obiettivi di raccolta differenziata dei rifiuti tessili post-consumo per l’avvio a preparazione per il riutilizzo, riciclaggio e recupero, calcolati rispetto all’immesso sul mercato di prodotti tessili nei tre anni precedenti: almeno il 15% in peso entro il 2026, almeno il 25% in peso entro il 2030, almeno il 40% in peso entro il 2035.
Questi interventi, pur importanti, non sono tuttavia sufficienti. Le basse percentuali di riciclo e riutilizzo, infatti, sono legate anche alla scarsa qualità dei tessuti raccolti, particolarmente evidente nei circuiti di fast e ultra fast fashion.
Va sottolineato, infine, che la domanda di materiale riciclato è ancora estremamente bassa rispetto alla produzione primaria. Il Textile Exchange’s Materials Market Report 2024 indica che la produzione globale di cotone si è attestata attorno ai 24,4 milioni di tonnellate nel 2023. Nello stesso anno la quantità di cotone riciclato è stata pari a 319mila tonnellate (l’1%).
Il “mercato” delle fibre tessili riciclate e dell’usato è in sofferenza in particolare nei paesi europei dove la raccolta differenziata del tessile è più avanzata del nostro, a testimoniare la debolezza della domanda. La crisi è determinata anche dalla riduzione delle esportazioni di prodotti usati verso i paesi a basso reddito (uno dei più importanti, il Ghana, ha dimezzato le importazioni). Va, tuttavia, considerato che numerose inchieste condotte sul mercato dell’usato extra-europeo ne hanno evidenziato l’opacità e la scarsa utilità per i paesi di arrivo dei prodotti. Le immagini di enormi discariche (abusive) dei rifiuti ne sono la prova.
È alla sua seconda lettura la revisione dell’End of Waste, all’interno della revisione mirata della Waste Framework Directive (WFD). L’obiettivo è dare una definizione armonizzata di “rifiuto” ed “end of waste”; stabilire criteri EoW per flussi prioritari, tra cui i tessili.
La nuova Direttiva Ecodesign (Regolamento UE 2024/1781) – dedica particolare attenzione al settore tessile, che è tra i primi flussi prioritari su cui saranno applicate misure vincolanti di sostenibilità e circolarità. Tutto ciò è parte della strategia UE sul “Textiles Ecosystem Transition Pathway” e del piano per una textile economy circolare entro il 2030. Ogni prodotto tessile dovrà avere un passaporto digitale e, a partire da luglio 2026, sarà vietato distruggere abbigliamento e calzature invenduti.
La responsabilità estesa del produttore
A maggio 2025 si è conclusa la consultazione pubblica dello schema di decreto che istituisce la responsabilità estesa del produttore per la filiera tessile, comprendente abbigliamento, calzature, accessori, pelletteria e tessili per la casa e l’ospitalità. Il testo è stato messo in consultazione dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, per permettere a tutti gli interessati di inviare osservazioni.
La “filiera tessile” è definita come la “catena in cui opera qualsiasi organizzazione economica e produttiva che svolge la propria attività, dall’inizio del ciclo di lavorazione al prodotto finito, nonchè svolge attività di raccolta, trasporto, selezione, preparazione per il riutilizzo, riutilizzo, riciclo, recupero e smaltimento a fine vita del prodotto stesso“.
La responsabilità estesa del produttore è un principio secondo cui chi produce un bene è anche responsabile, dal punto di vista finanziario e organizzativo, della sua gestione una volta che diventa rifiuto. Questo significa che il produttore deve occuparsi delle fasi di raccolta, selezione e trattamento del prodotto a fine vita, anche accettando i prodotti restituiti dai consumatori. Nella filiera tessile, ciò riguarda tutte le imprese coinvolte nella produzione, nel trasporto, nella selezione, nel riciclo e nello smaltimento.
Il produttore è, peraltro, obbligato a versare un contributo ambientale, destinato a coprire i costi della gestione dei prodotti a fine vita, a migliorare l’efficienza della filiera e a sostenere la ricerca sull’ecodesign, sulle tecnologie di riciclo e sulla riduzione dell’impatto ambientale.
Nello specifico, il contributo ambientale dovrà tenere conto delle prestazioni ambientali dei prodotti tessili, determinate dalla composizione materiale del prodotto, dalla complessità della composizione del prodotto, dall’uso di fibre riciclate nella fabbricazione del prodotto, dalla durabilità, dall’indice di riparabilità/riutilizzabilità e riciclabilità (art. 4, § 7 del decreto).
Conclusioni
CONSUMARE MENO, CAMBIARE TUTTO
Secondo la teoria sociologica dell’agency e della struttura, il comportamento umano è regolato sia dalla capacità degli individui di compiere scelte indipendenti e intenzionali (agency), sia dai contesti sociali, economici, politici e materiali entro cui tale comportamento si manifesta (struttura).
La moda circolare è sostenuta da stili di consumo consapevoli ossia da una domanda “sostenibile”, ma la tutela integrale dell’ambiente richiede scelte “di sistema” che ribaltino il paradigma dominante del “Nasci, produci, consuma, crepa”.